“Cinquecento plurale” è espressione dell’attività di un gruppo di studiosi che hanno in comune interessi, metodi, progetti. L’oggetto delle loro ricerche è un Cinquecento non convenzionale, diverso da quello “canonico” della tradizione critica e storiografica. Il “canone” che si è affermato rischia di impoverire la ricchezza di voci e di esperienze che contraddistinguono – con vivo contrasto – la cultura del sedicesimo secolo. Per questa ragione le ricerche degli studiosi di questo gruppo si orientano di preferenza verso i settori che le autorità egèmoni hanno emarginato, visitando le zone “basse” della satira, della parodia, della pasquinata, del paradosso, o anche le “alte” ma interdette come quella dell’eterodossia. Tutto questo nella convinzione che anche i piani nobili della società culturale possano trarne qualche vantaggioso lume.
Programma
Chi si fa promotore delle iniziative e divulgatore dei materiali di questo sito partecipa da qualche tempo a ricerche comuni, e intende, almeno in questa prima fase, sottoporre alla pubblica attenzione gli esiti finora maturati in occasioni di riflessione collettiva e le pubblicazioni per lo più confluite in una collana dedicata ex professo alla letteratura e alla storia artistica e culturale del Cinquecento. Si tratta, come è evidente, di progetti inizialmente circoscritti, ma anche intesi alla verifica di un comune modo di intendere la centralità che il Cinquecento (nelle varie manifestazioni in cui la sua civiltà ha trovato espressione) gode nella storia italiana ed europea. Nel 1999 e nel 2001, in due convegni viterbesi, si trattò di approfondire la cultura cosiddetta “irregolare”, con letture alternative rispetto a quelle consolidate. La prospettiva era quella di rileggere la storia cinquecentesca evadendo deliberatamente dal “canone”: la serie, se non chiusa, quanto meno selezionata di esperienze, di nomi e di generi cui afferisce per tradizione l’attenzione più qualificata degli studi. Ciò nella consapevolezza – per molti versi scontata – che il “canone” non lo si può eliminare, è in re ipsa, parlando di Cinquecento, in quanto categoria intrinseca e fondativa della cultura dell’epoca. Ne venne fuori semmai che il “canone”, in quanto sistema formale e referente ideologico, poteva essere nuovamente recuperato da angolature tendenzialmente marginali, attraverso percorsi meno prestigiosi ma non meno interessanti e comunque necessari.
Gli studi e i testi che via via sono affluiti nella collana “Cinquecento” hanno allargato il campo, aprendo il dialogo ad altri ambiti disciplinari (la storia artistica, la storia religiosa) e prospettando una serie di approcci che, da ricerche settoriali di temi e forme tipici della scrittura mezzana ed umile, si estendevano in modo non casuale a definizioni nuove del concetto di auctoritas attraverso la parodia, la satira, la pasquinata, il paradosso, infine attraverso la letteratura emarginata e proibita. Ne è scaturito il seminario londinese del 2004, interamente dedicato ai rapporti fra letteratura e storia religiosa nella prima metà del secolo, ed è di prossima attuazione un convegno intorno alla letteratura pasquinesca fra Cinque e Seicento.
Né restavano esclusi i protagonisti, compresenti anch’essi e talora con rilievo, compromessi in ogni caso nella continua tensione fra il classicismo teorico e le spinte ad altri generi e ad altre sistemazioni che il Cinquecento, in ogni caso, registra. A fronte di una tradizione “canonica” e per così dire “singolare”, la nostra ricerca, così come si è finora sviluppata e come si propone per il futuro, è “plurale”. Plurale anche per gli ambiti disciplinari che coinvolge (linguistico-letterario, bibliologico, religioso, storico-artistico), e dunque per le tematiche, i problemi, i personaggi, le immagini, le poetiche, di cui si vorrebbe garantire un recupero critico sempre nuovamente ragionato, per quanto possibile indipendente dalla “fortuna”, e cioè dai successi o dagli insuccessi storici e persino dalle interdizioni future. Paradossalmente, come se non sapessimo come è andata a finire in fatto di destini individuali o anche di assetti linguistici, di libertà religiosa, di equilibri politici.
Il lavoro prosegue e auspica nuovi contributi e nuovi apporti. Non si è trattato all’inizio, né si tratterà in futuro, di prospettare sistemazioni manualistiche e onnicomprensive, quanto piuttosto di verificare, partendo da ambiti e questioni sempre e comunque controllabili, le implicazioni, non tutte di immediata evidenza, della sontuosa, sovrabbondante quantità di testimonianze che quel secolo ha trasmesso. L’auspicio, fatta salva la consapevolezza dell’inevitabile condizionamento del punto di vista dell’osservatore, è di giungere a nuove (magari circoscritte) proposte che non oscurino, né irrigidiscano la cangiante mobilità consegnata alle voci, ai testi, alle immagini e ai documenti di quella stagione. Tutto questo nel convincimento che proprio dall’escursione piena di quei territori alieni, insieme ai minori e ai minimi di volta in volta censiti ed indagati, possano guadagnare pienezza di senso, e comunque ulteriore significazione, anche i tanta nomina, universalmente e giustamente celebrati, di quell’epoca.